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R.❤M. Æ. Il progetto AIDEA e l'eros dei luoghi (2a parte-Gallery)

2025-04-28 09:41

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R.❤M. Æ. Il progetto AIDEA e l'eros dei luoghi (2a parte-Gallery)

R.❤M. Æ. Il progetto AIDEA e l'eros dei luoghi. Un immaginario portfolio dolceamarodi immagini di Roma e "dintorni"... Dedicato a tutte le persone con fra

R.M. Æ.

Il progetto AIDEA e l'eros dei luoghi


Un immaginario portfolio dolceamaro di immagini di Roma e "dintorni"...


Alle fragilità, alle vulnerabilità...


(2a parte, per tornare alla 1a parte:


https://www.gerardoregnani.com/blog/rm-%C3%A6-il-progetto-aidea-e-leros-dei-luoghi-1a-parte)


(per andare alla 3a parte:


http://www.gerardoregnani.com/blog/rm-%C3%A6-il-progetto-aidea-e-leros-dei-luoghi-3a-parte-gallery)


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G. Regnani #R.M. Æ.  2020

***

Una sorta di punctum di Roland Barthes, aggiungo, richiamando le riflessioni del celebre semiologo transalpino. Un’esperienza comune ad ognuno dei paesaggi raffigurati in questa serie di immagini metaforicamente dedicate, al di là dell’interesse che potranno stimolare, alla ricchezza esclusiva di ogni diversità. Ognuno di questi luoghi, reale o astratto che sia, con un suo bagaglio di storie e di atmosfere, ne è una rappresentazione emblematica e, insieme, paradigmatica. Una ricchezza che, a mio modo, con la complicità della Fotografia, ho riassunto e riproposto, non so bene con quali risultati, in questa specie di “panorami” multiformi e policromi.

Panorami che, in realtà, sono, soprattutto, paesaggi… interiori.

Un viaggio, tuttora in corso, accennavo, nel quale tenterò ancora di “documentare”, oltre al fascino dei luoghi, anche ogni possibile valore aggiunto che ha determinato quella sorta di paralisi agitante visiva che ha “congelato” il mio sguardo.

Una specie di incantesimo dalla durata e dagli esiti non ben definiti che ho cercato di tracciare a mia volta attraverso una sorta di Fotografia “tridimensionale”, così immaginata, anche per ragioni personali. Un raddoppio apparentemente stereoscopico, dicevo, ovvero l’equivalente di un rinforzo comunicativo che si traduce nella forza di due visioni “uguali”, benché distinte, di un medesimo luogo e/o contesto. Due versioni, due diverse opzioni del medesimo fotogramma originario che condensano - in relazione al diverso ordine temporale che distingue i relativi output - le due altrettanto distinte fasi della c.d. produzione e della post-produzione.

La prima opzione proposta attraverso quella che viene di norma considerata la Fotografia tout court, ovvero un’istantanea, con il suo status, per lo meno in apparenza, di indiscutibile meccanicità e, quindi, di oggettività. La seconda, ovvero la visione di norma proposta, connotandosi invece come una dimensione prettamente interpretativa e/o elaborativa, ovvero soggettiva.

Una dimensione altra, prettamente astratta, che rinvia al disegno, al fumetto e, non ultima, alla pittura.

Uno sguardo altro, ulteriore, non automatico, meccanico, ma soggettivo.

Un’interpretazione, ossia una forma di astrazione.

Un’opera concettuale, in altri termini.

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Un’opera concettuale come in fondo è comunque, persino tecnicamente, anche ogni (“automatica” quanto si vuole) istantanea.

Sì, proprio quella stessa istantanea della quale accennavo prima. Istantanea che avevo appena indicato come “la” quintessenza della “realisticità” (sebbene tecnicamente impossibile) della Fotografia.

Questo perché anche in un’istantanea qualsiasi (s)oggetto raffigurato, è e resta, in ogni caso, un (s)oggetto astratto, una “rielaborazione”.

La raffigurazione è, dunque, sempre e comunque una forma di interpretazione, quali che siano le modalità e/o gli elementi considerati: posa, contesto, frangente, soggetti, prospettiva, illuminazione, etc.

Tutti, in ogni caso, comunque, sono sempre e comunque frutto di una o più “scelte” fatte, anche se fatte in modo automatico (si pensi alle “tv a circuito chiuso”) e/o anche inconsapevolmente.

Uno sguardo (s)oggettivo, in ogni caso, sempre diverso, anch’esso, pur apparendo emblematicamente una copia del referente originario.

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Anche la Fotografia, vista in questa prospettiva, può essere considerata una sorta di metafora, una specie di meta-rappresentazione della diversità dei luoghi raffigurati. Un ruolo che la Fotografia può attivare sino al parossismo e oltre, sino alla radicalità più estrema. Persino in quei casi, quindi, nei quali appaia quanto mai difficile poter affermare che la Fotografia non rappresenti un calco del “reale” o una copia “perfetta” del (s)oggetto originario.

Anche per queste ragioni, la Fotografia, in particolare in questo mio viaggio immaginario e “intermediato” sulla fragilità, è divenuta per me il medium ideale al quale affidare il compito di raccontarne le tappe.

Una sorta di strumento magico attraverso il quale il mio sguardo “incrocia” (seppure sempre in differita) quello dello spettatore che di volta in volta vedrà queste mie immagini. Su queste immagini, seppure in modo asincrono, io e lo spettatore occasionale avremo poi, sempre e comunque anche uno sguardo e, forse, finanche una “messa a fuoco”, in qualche modo condivisa.

In altre parole, riecheggiando quanto avevo già detto in proposito, ogni visione si replicherà idealmente in una sorta di “comune”, quanto inconsueta, visione stereoscopica.

Due visioni che, “a valle” di quanto detto, potrebbero rievocare nella visione la quintessenza di una diversità che, in sostanza, non si traduce mai del tutto in vera differenza, benché le due contingenze non siano del tutto coincidenti.

E, ancora a proposito di paesaggi ricordo che per un autore per me molto importante, quale è tuttora il compianto Luigi Ghirri, il tema della percezione, così come quello dello sguardo, sono legati indissolubilmente alla riflessione sul paesaggio. Paesaggio che, ancor prima del prodotto artistico, con il relativo iter ideativo, ancor prima della concettualizzazione di ogni atto di ripresa compiuto dalla Fotografia, egli considerava come una sorta di “opera d’arte diffusa”.

Un paesaggio è capace di esercitare un tale potere attrattivo con connotazioni primordiali, da apparire persino erotico.

Una sorta di eros del paesaggio lo definirebbe forse il poeta Andrea Zanzotto.

Non esattamente il paesaggio “reale” che viene normalmente percepito, quanto, piuttosto, un paesaggio segreto, interiore, che, come ho avuto modo di sperimentare anch’io durante il “mio” viaggio a Roma e dintorni, non compare proprio subito, quasi mai a prima vista.

Pur senza avere la pretesa di affermare di aver addirittura intrapreso un percorso per certi versi affine a quello del grande e ammirato autore emiliano, mi sembra che anche le mie immagini, oltre a mostrare e tentare di descrivere la realtà “concreta”, ovvero la fisicità e la plasticità dei paesaggi fisici, provino comunque a proporne anche una proiezione altra, a suo modo diversa, finanche fantastica.

Un Altrove, come dicevo in precedenza, fatto di paesaggi immaginari e, idealmente, anche un po’ magici che possa far “scomparire”, almeno per un momento, ogni eventuale sgradevole tara residua dell’urbanizzazione.

Penso, ad esempio, come allora Pierpaolo Pasolini: al degrado, al traffico, all’affollamento, etc.

“Il traffico […]in quel momento era indescrivibile. Una fila senza fine di macchine stava ferma davanti a quel semaforo, come un canale di scolo che avesse la sorgente nel centro della città.” Pierpaolo Pasolini

Permettendo in tal modo allo sguardo di liberarsi e di “spaziare” finalmente libero, in un viaggio immaginario, dove il mondo materiale viene, letteralmente, ridefinito. Anche a livello cromatico.

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La mia esplorazione, partendo quindi dal paesaggio fisico, ne propone quindi un’apparentemente ingenua - quanto “politica” - versione immaginaria, per quanto speculare e parallela, dove la realtà problematica e nevrotizzata del quotidiano, magari per il solo tempo di uno sguardo, sembra come dissolta e sostituita da una realtà altra, che, per quanto surreale e bizzarra possa eventualmente apparire, condensa una forma di reazione ad uno stato di cose tanto spesso apparentemente immutabile.

Lo si potrebbe liquidare come una specie di sogno ad occhi aperti, “reificato” attraverso questa sorta di scatola magica che è la Fotografia, strumento magico, per antonomasia, capace di assecondare la bizzarra narrazione di una mente “affamata”.

Il sogno, forse trito, della speranza in un futuro migliore che non si dovrebbe, comunque, mai smettere di avere.

Un sogno dal quale non si dovrebbe neanche mai… “svegliarsi”.

Un sogno, come luogo della mente, dove dal fisico, dal reale si passi, in un attimo, e come per magia, a una sorta di mondo metafisico, nel quale non esista il male, la sofferenza né, tanto meno, il dolore.

Un sogno che attraverso la mediazione della Fotografia, “prenda la forma” anche di una sorta di immaginaria catarsi.

Un sogno, come ha già fatto anche Luigi Ghirri, che vorrebbe suggerire di rileggere, oltre la superficie, anche quel che ci appare estremamente familiare, (         ri)visto con occhi sempre nuovi e diversi.

Un sogno che, come l’atto del vedere attraverso la Fotografia, diventi un gesto “politico”, un ulteriore strumento di conoscenza e, se del caso, anche di (ri)orientamento.

La Fotografia in questo mio piccolo e personale percorso visionario, essendo essenzialmente un dispositivo di selezione e di reindirizzamento dell’attenzione, mi è dunque sembrata, come accennavo, “lo” strumento ideale, il mezzo tecnico secondo me più adatto per questo viaggio.

In un confronto dialettico sempre vivo, peraltro, contro l’idea meccanicistica della Fotografia. Un preconcetto tuttora ancora tenacemente diffuso, nonostante le continue evidenze che, proprio in quanto medium, ci consente di liberarci dall’ossessione realistica e reindirizzare lo sguardo - finalmente più libero - verso nuovi orizzonti.

Una dialettica comunque sempre nuova, attraverso ulteriori percorsi, in ogni caso alla ricerca di un possibile equilibrio tra il “reale” e l’immaginario, così come, in questo viaggio, sebbene in modo (molto) indiretto, tra l’idea della normalità e quella della diversità.

Un’esplorazione, lo ripeto, per me persino “terapeutica”, per quanto immaginaria. Un percorso che, nel senso che indica Luigi Ghirri, è anche una continua riscoperta di una città, Roma, alla quale sono grato, nel bene e nel male, per avermi accolto da tempo tra le sue “mura”.

Un viaggio tra i segni di una città-simbolo.

Il solo viaggio possibile, secondo Luigi Ghirri:

“Il solo viaggio possibile sembra essere, oramai, quello all’interno dei segni, delle immagini…”

Luigi Ghirri

Un cammino tra le luci e le ombre di un passato ancora presente e le contingenti miserie residue di una Città che, per quanto Eterna, mi è sembrata somigliarmi nella sua diffusa condizione di fragilità.

Eternamente alla ricerca anche di un equilibrio e, intanto, in bilico, come tutti.

Come… “sospesa”.

Roma, 8 settembre 2022

Gerardo Regnani

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(*) Abstract > assistenza Chat GPT Open AI

(fine, torna alla 1a parte:

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