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R.❤M. Æ. Il progetto AIDEA e l'eros dei luoghi (1a parte-Gallery)

2025-04-28 09:42

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R.❤M. Æ. Il progetto AIDEA e l'eros dei luoghi (1a parte-Gallery)

R.❤M. Æ. Il progetto AIDEA e l'eros dei luoghi. Un immaginario portfolio dolceamarodi immagini di Roma e "dintorni"... Dedicato a tutte le persone con fra

R.M. Æ.

Il progetto AIDEA e l'eros dei luoghi


Un immaginario portfolio dolceamaro 0di immagini di Roma e "dintorni"...


Alle fragilità, alle vulnerabilità...


(1a parte, per andare alla 2a parte:


http://www.gerardoregnani.com/blog/rm-%C3%A6-il-progetto-aidea-e-leros-dei-luoghi-2a-parte)



(per andare alla 3a parte:


http://www.gerardoregnani.com/blog/rm-%C3%A6-il-progetto-aidea-e-leros-dei-luoghi-3a-parte-gallery)




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G. Regnani #R.M. Æ.  2020

***

 “Quando soffiano forti venti, non costruire


muri, ma, piuttosto, mulini a vento…”


proverbio orientale


Abstract(*)


"ROMAE AIDEA e l’eros dei luoghi” descrive l'intenso legame emotivo dell'autore con la città di Roma. L'autore riflette sulla propria fragilità e la vede riflessa anche nella città stessa. Descrive Roma come una metropoli complessa che esercita un'attrazione particolare su di lui e con cui si identifica attraverso la routine quotidiana. Il testo sottolinea la crescita progressiva della comunanza tra l'autore e la città nel corso degli anni, influenzando la sua prospettiva sul sistema complesso di Roma. Si menziona un vasto "indotto" di persone che contribuiscono alla vita della città. Si riflette anche sulla complessità e la fragilità della vita a Roma, citando un verso del poeta Trilussa che sottolinea la fugacità della vita stessa. Nonostante la fascinazione per la città, l'autore si confronta costantemente con i problemi presenti nel contesto romano. Si discute della complessità di Roma, con i suoi aspetti storici, politici, antropologici e urbanistici, che contribuiscono a una realtà estremamente composta e fragile. Si accenna alla teoria organizzativa della resilienza, suggerendo che i sistemi complessi come Roma dovrebbero cercare di resistere agli agenti patogeni interni ed esterni. Si riflette anche sul ruolo dell'autore nella città e sull'influenza che la città ha su di lui. Il testo esplora l'uso della fotografia come strumento per esplorare la fragilità e la diversità di Roma, creando una narrazione visiva che va oltre la realtà tangibile. Si descrive il processo di creazione delle immagini fotografiche, in cui l'autore manipola e trasforma le immagini per creare una prospettiva diversa e idealizzata dei luoghi. Si riflette sul significato terapeutico di questa pratica e si immagina un futuro in cui Roma potrebbe diventare una città esemplare per l'assistenza e la cura di tutte le persone con fragilità. Si esplorano anche i dintorni di Roma e si sottolinea la varietà dei luoghi e delle esperienze. L'autore utilizza la fotografia come strumento per creare dimensioni multiple e trasmettere un senso di magia e possibilità. Il testo conclude con l'autore che prosegue il suo viaggio di esplorazione delle realtà plurali, documentando il fascino e la ricchezza delle diverse esperienze umane.


***


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Roma, con i suoi fasti e le sue fragilità, ha sempre esercitato su di me un’attrazione particolare. Nei luoghi che ho percorso, tanto per le mie routine quotidiane - vivo da tempo nella Capitale - quanto per altre ragioni, ho avvertito spesso come una forza in grado di attrarre il mio sguardo.

Un’attrazione che mi è sembrata evolvere nel tempo, assumendo anche la connotazione di una sorta di vicinanza.


Una prossimità, una comunanza che, in questi ultimi anni, ho avuto l’impressione che crescessero progressivamente via via che diveniva purtroppo sempre più evidente anche la mia … fragilità.


O, forse, potrei meglio dire… le nostre diverse fragilità.


Un triste “gemellaggio” che, oltre a toccarmi nel profondo, ha influito anche sul modo di guardare l’articolato “sistema planetario” che gravita incessantemente nell’orbita di Roma-Capitale. Attratto dalla sua imponente forza di gravità ruota, infatti, un vasto “indotto” brulicante, eterogeneo e multiforme che, ovviamente, anch’io contribuisco a popolare. Una mescolanza di luoghi, cose e persone, che interagisce senza soluzione di continuità, tra alti e bassi, in modo non sempre e propriamente “impeccabile”. Una realtà poliedrica, anch’essa, come accennavo, con le sue fragilità. Una trama di interrelazioni fitte quanto effimere, come lo è, in fondo, la Vita - “sempre” troppo breve - di ognuno di noi. Un’esistenza fugace, precaria, fragile, che, rileggendo alcuni versi del poeta Trilussa, potremmo forse sintetizzare così:


“Son bella, si, ma duro troppo poco.
La vita mia, che nasce per un gioco
come la maggior parte delle cose,
sta chiusa in una goccia.” Trilussa


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Una fascinazione, quella mia per la “Città Eterna” che, tuttavia, sento costantemente compromessa dalla consapevolezza di vivere in un contesto problematico, come è notoriamente anche quello capitolino. Problematicità acutizzatasi ulteriormente, a mio parere, in questi ultimi decenni, analogamente ad altre grandi aree metropolitane. Una situazione amplificata, nel caso dell’Urbe, da una commistione che l’ha resa unica al mondo: storica, politica, antropologica, urbanistica, etc. Si tratta, come è ben noto, di una realtà estremamente composita e complessa, connotata da fattori - sia datati sia contingenti - che interagiscono, come accennavo, non proprio all’unisono e/o senza difficoltà sotto il medesimo - e non di rado “stretto” - tetto metropolitano. Una contingenza che, conseguentemente, amplifica ulteriormente quella componente di fragilità accennata in apertura. Una connotazione, aggiungo, ancor più severa per un agglomerato metropolitano, che, di fatto, è una sorta di diffuso quanto fragile “sistema complesso”. Così come lo sono, nel loro piccolo, anche le persone che vi vivono: “incarnando”, ognuna, una sorta di frattale che “ripropone”, in miniatura, l’articolazione del sistema maggiore.  E, tra queste persone, anch’io, con il mio micromondo complicato e, per di più fragile e “malfunzionante”.


E come suggeriscono anche certe linee di teoria organizzativa, per sopravvivere qualsiasi “sistema complesso” dovrebbe, innanzitutto, provare a resistere agli agenti “patogeni” interni e/o esterni che continuamente ne minacciano l’integrità, adottando, in prospettiva, per quanto possibile, anche una strategia proattiva. Un orientamento che, nelle sue formulazioni più recenti è noto, trasversalmente, con il termine di “resilienza”. La sostanza teorica della resilienza suggerisce, in particolare alle organizzazioni più articolate, ma non solo, di trasformare i problemi in opportunità, cercando di ricavare da eventuali eventi avversi quegli elementi di esperienza e di conoscenza che cercherà poi di “piegare” a proprio vantaggio.


E, così, prepararsi a rispondere con forza pari, se non maggiore, ad analoghi, se non anche più impegnativi, eventi futuri.


E così cerco di fare anch’io da tempo, pur con i limiti crescenti imposti dal mio “ospite” e, per quanto ovvio, cercando però di non cadere ingenuamente nella “trappola” subdola di una fascinazione teorica facilona che, almeno “sulla carta”, proporrebbe “la” soluzione di tutti i mali, ma che tale, ovviamente, non è. Ciò detto, la “mia” resilienza, si “nutre”, come e quanto riesco, anche di una sistematica occupazione di qualsiasi utile “interstizio” quotidiano – lavorativo, familiare, terapeutico e, più in generale, culturale – che mi sembra possa eventualmente risultare funzionale per affrontare al meglio, in particolare, l’evoluzione della mia malattia e i suoi shock cercando “dare forma” e/o rafforzare ulteriormente quella condizione che i cennati orientamenti teorici definiscono come antifragilità.


Ed è in questa prospettiva che l’interesse per la (ri)scoperta del ricco patrimonio di “tesori” della fragile Città Eterna, unita a quello per la Fotografia, si sono “alleati” divenendo un ulteriore strumento, una sorta di “arma non convenzionale” che si affianca a quelle “convenzionali” cerco di gestire meglio che posso la mia battaglia quotidiana di persona che convive con una patologia cronica e irreversibile.


Questo viaggio alla (ri)scoperta della città mi sta via via mostrando anche una serie crescente di esempi emblematici di quella condizione comunanza di fragilità e, insieme, di precarietà della quale avevo accennato inizialmente.


Uno stato di cose amplificato da un degrado talora anche diffuso e, più in generale, dalla sensazione, persistente da tempo, dell’assenza - o, quanto meno, della carenza o non continuità - di una vera e propria regia complessiva.


Fattori, questi, che contribuiscono ulteriormente a “scolorire” e intaccarne, almeno in parte, il tradizionale fascino da Grande Roma.


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G. Regnani #R.M. Æ.  2023

Una perdita di “colore” - insistendo ancora con i riferimenti “cromatici” - e di appeal che, inevitabilmente, si riverbera in maniera più o meno diretta e pesante anche sul tessuto umano che condivide in vario modo il destino di questa città. Tra queste persone, ho pensato, in particolare, anche ai tanti miei “gemelli”, ovvero ai più fragili e, in generale, alle persone che vivono con maggior peso e disagio la loro condizione di diversità, non solo quella imposta da una disabilità. Persone per le quali, anche a mio parere, La Città Eterna mostra già da tempo un’attenzione crescente che può comunque svilupparsi ulteriormente in una prospettiva più ampia in termini di sempre maggiore equità, inclusione e accessibilità.


E, in quest’ottica, chissà, magari puntare a divenire in un futuro (speriamo molto prossimo) una sorta di realtà esemplare, per l’asilo e la cura di ogni persona con fragilità, disabilità, diversità.


Una sorta di città modello che, paradigmaticamente, potrebbe forse chiamarsi: “ROMA AIDEA”.


L’acronimo “AIDEA” condensa, miscelati, vari riferimenti progettuali concreti. Più nel dettaglio, nel prefisso-radice, quelli relativi all’idea di: sostegno, aiuto, supporto, etc. riassunti nella sigla “AID”. E, in parte sovrapposti, in parte a seguire nella desinenza, gli elementi obiettivo, il cuore del progetto, ovvero: Inclusion Disability Equity Accessibility”.


Roma diverrebbe, così, “La” Città AIDEA, ovvero una città ideale che, più e meglio di altre, mettendo in campo anche le opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale, potrebbe distinguersi nel supporto a questo tipo di persone con vulnerabilità affinché, pur con le loro eventuali fragilità - temporanee, fisiologiche, permanenti o meno che siano - in modo che possano sentirsi sempre più accolti e inclusi in questa eterogenea comunità metropolitana.


“Come in” una “casa loro”.


“Come se” fossero a “casa propria”.


Anche per le accennate ragioni personali, ho pensato a queste tante differenti individualità come ad altrettanti e, forse, isolati “fiori” colorati – e fragili – e al loro patrimonio di qualità personali. Un valore aggiunto che, per quanto possibile - seppure nella loro specifica condizione di persone con fragilità le connoti comunque sempre come una ricchezza, mai come una zavorra.


Ho proseguito dunque così questo mio piccolo, immaginario viaggio randomico, seguendo anche queste ultime suggestioni, realizzando una prima serie di immagini fotografiche di uno dei tanti, diversi fiori che ho incrociato (ri)scoprendo progressivamente questa grande realtà metropolitana.


Ognuno di questi fiori immaginato come una persona con una qualche condizione di fragilità che, insieme a tanti c.d. normodotati, popolano questa città speciale e unica. Ognuno di questi metaforici fiori, ognuno di questi luoghi, fotografato e riproposto in una o due immagini finali diversamente raffiguranti lo stesso luogo, lo stesso (s)oggetto originario. Una duplice versione dello stesso (s)oggetto originario per offrire una sorta di ideale visione “tridimensionale” o, se preferibile, di visione “stereoscopica”.


Ogni luogo fotografato è quindi poi eventualmente presentato, “a valle”, come una coppia di immagini uguali e, al tempo stesso, diverse.


Talora, apparentemente, anche molto differenti.


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Si, perché, all’interno di ognuna di queste coppie di immagini, il ruolo della seconda raffigurazione condensa un ulteriore viaggio nel viaggio verso una dimensione altra, immaginaria e fantastica. Ognuna di queste seconde versioni, quindi, non “riproduce” più il luogo “reale” originario, tanto meno con l’apparente “esattezza” della prima. All’opposto, ciascuna di queste seconde immagini di ciascun sito “incarna”, anziché una copia speculare della prima, un doppio (interpretato) che, in realtà, tende all’irreale, al fantastico.


In ogni caso, ognuna di queste coppie “documenta” anche altrettante, distinte mie “letture” dei siti che ho visitato. Siti che, ciascuno a suo modo, rappresentano per me una sorta di altrettanti luoghi-simbolo. E, insieme, sono anche la traccia di un vissuto immaginario che ci “parla” degli ipotetici trascorsi di quanti, quegli spazi, li hanno anche soltanto brevemente sfiorati, attraversati e/o vissuti.


Per ogni sito, dunque, una sola ripresa singola fotografica, che poi ho rielaborato, come riaccennerò ulteriormente anche in seguito, creando un’ulteriore versione, piuttosto che una copia, “uguale” e differente insieme.


“Uguale” e differente insieme, in quanto dopo essere stata, in qualche modo, rielaborata, perde, in parte almeno, innanzitutto quella specularità iniziale rispetto alla prima copia della quale ho prima accennato, così come, ancor più “a monte” la sua caratteristica di “riproduzione esatta” del (s)oggetto e/o del luogo originario.


Tant’è che, non necessariamente propongo entrambe le immagini, preferendo, di norma la seconda, quella rielaborata.


La prima, dicevo, senza particolari interventi, l’altra, la seconda copia della prima immagine fotografica, realizzata a posteriori, in fase di post-produzione, è invece il frutto di una deliberata rielaborazione cromatica e/o soltanto formale.


Una sorta di coppia di “gemelle diverse” che, se riunite, rappresentano, a loro modo, una specie di immaginaria, quanto bizzarra, visione stereoscopica “distorta” del (s)oggetto e/o del luogo originario in esse raffigurato.


Una coppia di immagini identiche accomunate, almeno all’origine, da una apparente rassomiglianza totale, come una sorta di “gemelli monozigotici”, che, dopo il trattamento accennato, si trasformano in una specie di “gemelli dizigotici”. Una coppia di “gemelli dizigotici” all’interno della quale il doppio, ovvero quella rielaborata, si trasforma in un vero e proprio “gemello diverso”, in qualche caso visibilmente differente dall’omologa prima copia originaria di partenza. Un “gemello diverso”, quindi, creato partendo una replica apparentemente identica alla “sorella” e/o all’“originale” di partenza.


Una diversità che evidenziata più volte perché emblematica.


L’ho proposta ed evidenziata, infatti, come una metafora esemplare, un esempio paradigmatico della ricchezza anche di tutti quei patrimoni di differenti abilità che, altrimenti, potrebbero eventualmente restare confinati da qualche parte se non, addirittura, irrimediabilmente dispersi.


Magari proprio a causa di uno sguardo erroneo.


Soltanto colposo.


O, peggio, di uno stigma, magari alimentato da una visione preconcetta che, piuttosto che una risorsa, considera quelle diverse abilità, sostanzialmente, una zavorra.


Una diversità sottolineata anche per il paradigmatico richiamo all’eterna, accesa contesa dialettica riguardante la perenne oscillazione della Fotografia tra il vero e il falso, tra l’oggettivo e il soggettivo.


Non semplici luoghi, quindi, ma - anche tecnicamente - dimensioni molteplici. Più dimensioni che, dopo questa rielaborazione, “rinascono”, trasfigurate, in un nuovo e differente tipo di luogo, divenendo, ciascuno a suo modo, un nuovo… “paesaggio”.


Un paesaggio intimo, privato, che si trova al di là del “reale”.


Un luogo altro, un paesaggio interiore.


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G. Regnani #R.M. Æ.  2020


Talora, dicevo, persino (in parte o del tutto) irriconoscibile, a seguito di queste rielabor3azioni tecnico-estetiche che, almeno per me, hanno assunto, non ultima, anche una connotazione che definirei di tipo… “terapeutico”.


Una specie di ideale fuga terapeutica, appunto, dalla Roma “reale” e dalle sue ancora tante tare. Un reticolo di criticità che rischiano di comprometterne ogni giorno di più il vasto e straordinario patrimonio storico, artistico, architettonico, etc. che la rendono, da sempre, una città unica al mondo, ma, come accennato in precedenza, anche particolarmente fragile.


E così fra stop and go, tra ispirazioni anche accidentali e tanti interrogativi tuttora irrisolti – temendo anche delle facili ironie riguardo a questo mio metaforico percorso terapeutico - ho comunque continuato a (ri)fotografare questi luoghi in questa (nuova?) prospettiva.


Con l’idea di raffigurarli non più e/o non soltanto come semplici spazi fisici – ovvero dei paesaggi - ma anche come delle vere e proprie dimensioni spirituali.


Una pluralità di dimensioni, accennavo, che vorrei continuare a (ri)proporre ancora in futuro, attraverso altre serie di dicotomie.


Metafora, ciascuna di esse, di una diversa ricchezza. Una ricchezza differente per ognuna di queste coppie, come in ogni individualità umana. Ogni sito, dunque, interpretato come un metaforico fiore, un alias ipotetico di una delle tante persone con una condizione di fragilità ospite di questa metropoli così particolare e complicata.


Ogni luogo dunque, ogni paesaggio a suo modo, speciale e unico, come lo sono tutte le diverse individualità con le quali condividiamo l’esistenza su questo pianeta.


Ogni luogo “diviso” in due apparentemente opposte visioni: quella “reale” precedente, originaria, talora magari anche critica, e quella “nuova”, astratta, immaginaria e, magari, finanche ideale allorché riesce a (ri)valorizzare in qualche modo quella stessa diversa “realtà” originaria riproposta, per l’occasione, con un “vestito nuovo”, magari anche migliore del precedente.


Conversione di un reale - non sempre e non necessariamente originariamente critico e/o problematico - in un mondo comunque altro, ideale, possibilmente anche migliore dicevo, in parte comunque magico e fantastico.


E, così, seppure tra (tanti) tentennamenti, sto cercando di proseguire questo cammino e, insieme, questa mia “rilettura” della Capitale. Una visione sempre dicotomica, dicevo, anche tra esteriorità e interiorità, confusa e intermediata attraverso la Fotografia.


Uno sguardo sempre dialettico, dunque, tra ciò che appare e quello che potrebbe in realtà celare, qualità o tare che eventualmente siano.


Un’esplorazione di “realtà” sempre plurali, talora anche molto distanti.


Un piccolo caleidoscopio personale che tento pian piano di realizzare pur senza avere particolari competenze e/o pretese di completezza né, tanto meno, di sistematicità (neanche tematica).


Delle piccole, quanto personali random walk, confuse, dicevo, tra reale e immaginario, che vorrebbero comunque offrire uno sguardo nuovo, stimolante e, non ultimo, a suo modo comunque utile.


E seguendo quel fascino, quell’attrazione indefinita alla quale ho accennato in apertura, mi sono poi spinto, talora anche per ragioni personali, anche oltre l’area capitolina sconfinando, con eguale interesse e finalità, anche nei dintorni.


Anche là, anche in queste trasferte “fuori porta”, mi è sinora sembrato di essere sempre avvolto dal medesimo fascino indefinito ed arcano, talora persino “paralizzante”, provato in città. Analogo, dicevo, a quello che mi sembrato caratterizzasse anche i siti urbani. Ciascuno comunque connotato da una specifica peculiarità. Un’emozione ogni volta esclusiva, direi.


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G. Regnani #R.M. Æ.  2020

(fine 1a parte, vai alla 2a parte:

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