Dire è già fare
Relazioni e trasformazioni nel Parkinson
di Massimo Crucitti
Nella malattia di Parkinson, la comunicazione può sembrare un aspetto secondario rispetto ai sintomi motori o ai farmaci.

Ma se si va oltre lo scambio di informazioni e si entra nella complessità delle relazioni, le cose cambiano. Questo articolo nasce dall’esperienza condivisa di un gruppo di persone con Parkinson che, grazie al progetto Dire Fare Comunicare, hanno riscoperto la forza delle relazioni interpersonali. Una riflessione che si rivolge non solo a chi convive con la malattia, ma anche a chi se ne occupa come operatore sanitario.
Da settembre scorso ad aprile di quest’anno, dodici persone con Parkinson hanno partecipato a quattordici incontri di gruppo online, nella Palestra di comunicazione interpersonale: Dire Fare Comunicare, un’iniziativa che ho potuto realizzare grazie al contributo di A.I.G.P. (Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani) e dei suoi sostenitori.
Gli esiti di questa esperienza hanno superato ogni mia aspettativa. Essendo io stesso una persona con Parkinson e ricoprendo il ruolo di conduttore, l’impegno richiesto era intenso. Eppure, spesso, al termine di una sessione, mi sentivo pieno di energia — e lo stesso entusiasmo veniva condiviso dagli altri partecipanti.
Come ci siamo riusciti?
Mettendoci in gioco, sperimentando le relazioni interpersonali. L’interazione di gruppo ha favorito il rilascio di ossitocina, un ormone neurotrasmettitore capace di generare una sensazione di benessere.
Le parole possono davvero avere questo potere?
Sembra proprio di sì. Con la parola si battezza un bambino, si uniscono due persone in matrimonio, si condanna un imputato all’ergastolo. Non si tratta di astrazioni: le parole producono effetti concreti.
Dire è già fare!
Negli esempi appena citati, è la comunicazione ad agire sulle relazioni umane. Ma è vero anche il contrario: le relazioni influenzano la comunicazione.
Se, ad esempio, decidiamo consapevolmente di modificare il nostro modo di comunicare con il partner, qualcosa cambierà anche nella relazione. Questo cambiamento influenzerà a sua volta la comunicazione stessa. A quel punto, ci accorgiamo che il nostro controllo è solo parziale — così come gli obiettivi strategici che speravamo di raggiungere. Occorre allora continuamente aggiustare il tiro.
Al termine di ogni incontro del gruppo, assegnavo un piccolo compito per la sessione successiva: vere e proprie provocazioni comunicative, che spesso si traducevano in episodi da raccontare e, talvolta, da simulare.
Abbiamo anche messo in scena un episodio medico-paziente, in cui i ruoli erano invertiti: un medico interpretava il paziente, e viceversa. L’apprendimento esperienziale che ne è derivato è stato estremamente potente. Il medico ha potuto sperimentare sulla propria pelle cosa significhi essere paziente, ma altrettanto significativa è stata l’esperienza vissuta dal paziente nei panni del medico. Entrambi sono rimasti sorpresi dall’apertura di orizzonti a cui sono approdati — e con loro tutto il gruppo.
È proprio la sorpresa, il trovare qualcosa che va oltre le aspettative, a mettere in moto la dopamina. Ma anche qui vale il contrario: un eccesso di dopamina — talvolta indotto dai farmaci utilizzati per contrastare i sintomi del Parkinson — può alimentare comportamenti compulsivi, come nel caso della ludopatia, spingendo alla continua ricerca di gratificazioni sempre più intense.
In questo equilibrio delicato tra apertura e contenimento, è stata fondamentale la costante supervisione della psicoterapeuta Francesca Mameli, competente nella nostra patologia. Il suo contributo è stato sia protettivo che generativo: grazie a lei ho potuto condurre i gruppi con serenità, riflettere su quanto emerso e, soprattutto, sviluppare nuove idee per il prossimo ciclo di incontri, che prenderà il via questo autunno, sempre presso A.I.G.P.
Questa esperienza ci ha insegnato che crescere, nonostante tutto, è ancora possibile e che sì: dire è già fare!